Chiese ed edifici religiosi

basilica di santa croceLa Chiesa e l’attiguo Convento dei Celestini costituiscono in un armonioso complesso unitario il più compiuto esempio del barocco leccese. La Chiesa, edificata in sostituzione dell’antica situata nell’area dell’attuale castello, venne realizzata a più riprese tra il 1549 e la metà del secolo successivo, grazie all’avvicendarsi di tre generazioni di architetti e maestranze. La facciata, articolata su due ordini sormontati da un grande fastigio, rivela in maniera evidente un doppio registro stilistico scandito dalla lunga balconata sorretta da telamoni (sei figure umane e sette animali) e conclusa da una balaustra decorata da putti portatori di emblemi. L’ordine inferiore venne compiuto nel 1582 dall’architetto leccese Gabriele Riccardi: a lui riconducono la geometrica articolazione della superficie, scompartita da sei colonne a fusto liscio addossate alle pareti, il pilastro angolare forato ad ovoli che ingloba una colonna, la decorazione ad archetti pensili, chiaro omaggio alla tradizione dell’architettura romanica, in combinazione con il fregio di ispirazione classica lungo la trabeazione.

Di Francesco Antonio Zimbalo sono, invece, i tre portali (1606), più semplici quelli laterali con gli stemmi dei Celestini (sinistra) e della Croce (destra), più articolato quello centrale, reso interessante dalle colonne binate con i piedistalli ruotati a 45°, al di sopra delle quali si distende una ricca trabeazione con fregi e stemmi.

Nel secondo ordine, dove gli elementi scultorei raggiungono la massima esuberanza, quattro colonne decorate scandiscono gli spazi, conclusi in alto da una trabeazione con un fregio a motivi vegetali e putti che reggono le lettere nel nome dell’abate committente dei lavori. Domina il riquadro centrale, il grande rosone firmato da Cesare Penna, e marcato da una cordonatura recante i simboli della Passione, mentre in alto, negli angoli, un cartiglio frazionato in due parti riporta la data di esecuzione: 1646.

Al lato si aprono due nicchie con statue di San Benedetto (destra) e San Pietro Celestino (sinistra) mentre sulle volute esterne poggiano due grandi figure allegoriche. Conclude la facciata il fastigio mistilineo con al centro l’emblema della Croce (seconda metà del XVII sec.), attribuito generalmente a Giuseppe Zimbalo. L’interno, a croce latina, è articolato in tre navate suddivise da colonne con capitelli recanti testine di Apostoli, simboli degli evangelisti, e teste di profeti: quella centrale è sormontata da una sontuosa copertura lignea a lacunari (XVI sec.), quelle laterali da volte a crociera e festoni assiali.

All’incrocio dei bracci del transetto si innesta una cupola riccamente decorata (1590), mentre il presbiterio termina in un’abside costolonata e polilobata. Lungo le navate laterali, si susseguono profonde cappelle ospitanti altari barocchi in pietra leccese, con tele del XVII e XVIII sec.: si distinguono quelle della Trinità di Gianserio Strafella (seconda metà del XVI sec. ), nel transetto destro, di sant’Antonio da Padova di Oronzo Tiso (sec. XVIII, prima cappella a destra), della Natività di Giovan Battista Lama (sec. XVII-XVIII, seconda cappella a destra) e la tela votiva di Sant’Oronzo (quinta cappella a destra) con versi in dialetto leccese dedicati a ricordo della protezione data alla Città dal Santo durante il terremoto del 1743. Spettacolare è poi l’altare di San Francesco da Paola, nel transetto sinistro, opera di Francesco Antonio Zimbalo, (1614) che ripete l’effetto scenografico delle colonne su pilastri ruotati e nei pannelli racconta episodi della vita del Santo e della guerra combattuta a Otranto contro i turchi nel 1480. Soppresso l’ordine nel 1807, la Chiesa venne per un breve periodo abbandonata per essere poi riaperta al culto nel 1833.

chiesa del carmineI Carmelitani si insediarono nella città di Lecce probabilmente nel 1481 occupando una Chiesa fuori le mura, nelle vicinanze di Porta San Biagio. In seguito a un terremoto che distrusse il complesso conventuale negli anni quaranta del Cinquecento, abbandonarono il “Carmine vecchio” per insediarsi nelle mura nei pressi della Chiesa dedicata a San Nicola. In quel luogo, furono costruiti la nuova Chiesa dedicata alla Madonna del Carmine e il convento.

Del 1592 è il contratto con i capomastri Paduano Baxi, Massenzio Trisolo e Pierangelo Cocciolo, per la costruzione del chiostro del convento.

La prima pietra della chiesa attuale fu posta il 15 luglio del 1711, vigilia della festa della Vergine Santissima del Carmine, alla presenza del priore Elia Giancola e dell’architetto leccese Giuseppe Cino.

La Chiesa presenta un’imponente facciata in cui alla simmetria e alla proporzione, ottenuta dalla scansione della superficie attraverso lesene poco aggettanti e cornici marcapiano, si unisce una ricercatezza ornamentale e plastica determinata dalla diamantinatura delle superfici libere, dalle sculture e dai rilievi.

L’immagine della Madonna del Carmine, entro una ghirlanda fiorata sostenuta da angeli al centro del timpano curvilineo del portale, e lo stemma dell’Ordine al di sopra, le statue dei Profeti Elia ed Eliseo e dei Santi Angelo e Alberto nel registro inferiore e le statue di Santa Teresa d’Avila e di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi nel registro superiore, sintetizzano la celebrazione dell’Ordine Carmelitano e dei suoi Santi.

La Chiesa si sviluppa su una pianta articolata, con un corpo longitudinale ellittico innestato ad un transetto non sporgente, sul quale si apre un profondo coro a terminazione piatta. Una svettante cupola si imposta al centro dell’area presbiteriale determinando una spazialità accentrata e unitaria. Giuseppe Cino asseconda l’andamento curvilineo delle pareti piegando le paraste sugli angoli ottusi e inserendo armoniosamente gli altari riccamente decorati con motivi tratti dal repertorio barocco. Alla realizzazione di questi, della torre campanaria e di altri interventi di completamento, alla morte di Giuseppe Cino nel 1722, si ritiene abbia lavorato Mauro Manieri. Su alcuni altari trovano posto sculture e dipinti spesso riadattati in cornici mistilinee, provenienti dalla precedente chiesa.

Tra i ricchi arredi variamente databili tra fine XVI e XVIII secolo, si ricordano il “Cristo alla colonna” di Vespasiano Genuino da Gallipoli, la tela collocata nel controsoffitto a cassettoni raffigurante la “Madonna con Bambino e Santi Carmelitani”, attribuita a Paolo Finoglio e quattro tele della fine del XVI secolo raffiguranti i profeti Elia, Eliseo, San Giovanni Battista e Sant’Onofrio.

Tra gli altari di maggiore interesse si segnalano quello maggiore e quelli dedicati al Profeta Elia, ai Santi Nicolò e Antonio Abate, alla Purificazione con una tela della “Presentazione al tempio di Gesù” e quello dedicato a San Francesco da Paola. Gli ambienti del convento sono organizzati intorno ad un chiostro quadrangolare i cui prospetti interni mostrano i segni degli interventi ottocenteschi. Per tutto il piano terra si susseguono arcate a tutto sesto impostate su pilastri a fusto liscio, mentre al primo piano, lungo il lato che confina con la Chiesa, si apre un loggiato. Il portico è coperto con volte a crociera, le cui chiavi di volta e peducci sono spesso decorati, mentre alcune lunette sono affrescate. Al pian terreno è presente un interessante ambiente con volta a padiglione affrescata da motivi a grottesche e scene della vita del Profeta Elia e ritratti di Santi Carmelitani. La comunità fu soppressa nel 1807 e dal 1813 il convento fu adibito a caserma. Nella seconda metà del secolo sono documentati molti interventi di ristrutturazione e abbattimento di corpi di fabbrica che ne hanno modificato l’aspetto all’esterno e all’interno.

chiesa del gesuLa monumentale Chiesa del Gesù fu costruita a partire dal 1575 per accogliere i Gesuiti, giunti a Lecce nel 1574 al seguito di Bernardino Realino di Carpi, figura carismatica della Compagnia di Gesù, morto a Lecce nel 1616 e successivamente canonizzato.

L’edificazione della nuova fabbrica, su disegno del gesuita comasco Giovanni De Rosis, comportò l’ìabbattimento dell’antica Chiesa di San Niccolò dei Greci e la risistemazione urbanistica dello spazio viario circostante, secondo un indirizzo progettuale tipico dell’Ordine.

Nel 1577 la Chiesa era già aperta al culto ma i lavori si protrassero ancora per qualche decennio. Palesemente ispirato alla Chiesa del Gesù di Roma, modello di molte chiese controriformate, l’intero edificio risulta coerentemente in linea con i programmi dell’Ordine, propugnatore indiscusso del clima religioso e culturale della Chiesa postridentina.

La sobria facciata si articola su due ordini, raccordati da volute e scanditi da un doppio ordine di lesene interrotte da una trabeazione aggettante. L’ordine inferiore ospita nei cinque scomparti nicchie con timpani triangolari e circolari e, in posizione centrale, il portale sormontato da un timpano spezzato che accoglie lo stemma della Compagnia di Gesù, inquadrato da due angeli in atteggiamento orante.

Nell’ordine superiore si aprono due finestre laterali ugualmente timpanate e un finestrone centrale, delimitato da fregi antropomorfi su volute e sormontato dalla nicchia con la figura di Gesù Bambino. Al vertice, il fastigio di coronamento, impostato su un fregio con i “Simboli della Passione”, culmina con la scultura del Pellicano in atto di lacerarsi per alimentare la nidiata. L’aula sacra è caratterizzata da un impianto planimetrico a croce latina con transetto non sporgente e quattro cappelle aperte su ogni lato dell’unica navata, coperta da un soffitto ligneo a lacunari, impreziosito dalle tele raffiguranti le “Glorie della Campagna di Gesù” di Giuseppe da Brindisi.

La Chiesa custodisce preziose testimonianze pittoriche e scultoree collocabili tra la fine del XVI sec. e l’inizio del XIX sec. In particolare si segnalano, lungo il fianco sinistro nella prima cappella, il ricco altare lapideo con la seicentesca statua lignea della Madonna di Loreto, proveniente dalla distrutta Chiesa delle Cappuccinelle, le due tele, rispettivamente nella seconda e quarta cappella, con il “San Girolamo nel deserto” e con l’ “Annunciazione” (1596) del tardomanierista napoletano Girolamo Imparato, nella terza cappella l’ “Arcangelo Michele” di Jacopo Cestaro, mentre sul fianco destro si ricorda la “Vergine con i SS. Ignazio di Loyola, Stanislao Kostka e Luigi Gonzaga di Serafino Elmo (1752) nella quarta cappella. Nel transetto si segnalano, inoltre, la “Regina Martyrum et Confessorum” e la “Regina Virginum et Martyrum” entrambe di Paolo Finoglio, le “Storie di Giuseppe ebreo” di Antonio Verrio (1636-1708), i due altari della Madonna del Buon Consiglio (già di Sant’Irene) con una tela di Giuseppe Grassi (1811) a sinistra e l’altare di San Bernardino Realino (già di Sant’Ignazio), dove sono riposte le sue spoglie, a destra. Lo scenografico altare maggiore (1699) attribuito a Giuseppe Cino, ospita le tele settecentesche della “Circoncisione di Gesù” e dei “Dottori della Chiesa” di Oronzo Letizia e l’ “Incoronazione della Vergine” di Oronzo Tiso. Il coro ligneo settecentesco fu aggiunto dai Benedettini di Montescaglioso subentrati ai Gesuiti a seguito della loro soppressione.

chiesa di santa maria della pprovvidenzaLa Chiesa di Santa Maria della Provvidenza, originariamente annessa al Monastero delle Alcantarine, voluto e finanziato dal chierico Francesco Antonio Riccio, fu iniziata nei primi anni del ‘700 dall’architetto Giuseppe Cino. Dal 1724, per volontà del committente Giuseppe Angrisani, barone di Torchiarolo, il progetto fu modificato e seguito dall’architetto Mauro Manieri. Dopo la soppressione della comunità religiosa nel 1809, la chiesa fu affidata alla Confraternita di Maria SS. della Provvidenza, mentre il monastero fu demolito nel 1835.

La facciata della chiesa, caratterizzata da un andamento ascensionale, è divisa in tre ordini.

Nella parte inferiore, la superficie è scandita dall’alternanza di paraste doppie, con il fusto in parte scanalato e in parte liscio, e nicchie che accolgono le sculture lapidee di San Francesco e San Michele Arcangelo a sinistra e San Raffaele Arcangelo e Sant’Antonio da Padova a destra. Il portale centrale, inquadrato da una sobria cornice, su cui si imposta un timpano dal profilo mistilineo, è arricchito da volute e racemi penduli.

Il secondo ordine, al di sopra della trabeazione, raccordato da volute doppie e pigne angolari, accoglie nella specchiatura centrale la finestra dal profilo mistilineo, mentre ai lati le paraste, due nicchie con le sculture di San Pietro d’Alcantara a sinistra e San Pasquale Baylon a destra. Il timpano curvilineo, in corrispondenza della finestra, è ulteriormente inquadrato da un fastigio raccordato da altre due pigne angolari e da sottili volute e uno svettante frontone classico. Il prospetto laterale risulta scandito da piatte lesene nella parte inferiore e da robusti contrafforti in quella superiore.

La chiesa presenta un impianto rettangolare ad aula unica, con tre cappelle di modeste dimensioni per ciascun lato e presbiterio a terminazione piatta.

Al di sopra delle tre arcate a tutto sesto, alternate alle paraste, si aprono coretti schermati da gelosie in legno dipinto e in asse con questi le finestre dal profilo mistilineo. Motivi decorativi vegetali e catene di volute di stucco raccordano con sobria ricercatezza ornamentale le arcate alle gelosie e alle paraste, con echi intorno alle finestre. Tra le opere scultoree in cartapesta, si segnalano la Madonna delle Grazie o della Provvidenza, anche nota come la Madonna delle ciliegie e il Sant’Antonio Abate di Antonio Maccagnani, la cui devozione fu introdotta nei primi del Novecento, quando la omonima confraternita e la statua furono accolte nella chiesa di Santa Maria della Provvidenza.

Tra i dipinti, si segnalano le tele settecentesche della Madonna con Bambino e Santi sul primo altare a destra, della Crocifissione e Santi sul primo altare a sinistra, dell’Adorazione dei Pastori di Diego Bianchi nel presbiterio e dell’Annunciazione, attribuita a Oronzo Tiso in controfacciata.

chiesa di san giovanni battistaLa Chiesa di San Giovanni Battista, detta del Rosario d’Ajmo, dal nome del fondatore dell’antico convento domenicano, fu ricostruita sul sito di una precedente che risaliva al 1388, anno di arrivo dei padri predicatori in città. La data di fondazione del nuovo edificio risale al 6 marzo 1691, dopo che si era pensato di affidare l’incarico a Salvatore Miccoli di Lequile (Le), esperto nella costruzione di edifici a pianta centrale con cupola. Di fatto, il progetto fu richiesto al settantenne Giuseppe Zimbalo che, a questa costruzione, si impegnò con tutte le sue forze contribuendo, anche personalmente, al finanziamento dei lavori, oltre che alla sua esecuzione. Nel 1710 lo Zimbalo morì e il cantiere fu portato a compimento nel 1728 da altri artisti, di cui non si conoscono i nomi, ma l’impronta stilistica resta zimbalesca.

Lo Zimbalo profuse nella macchinosa facciata tutte le sontuosità delle sue bizzarre invenzioni (cespi fioriti e pinnacoli floreali al piano superiore). Il prospetto, diviso in due ordini, richiama in senso monumentale quello laterale del Duomo. In quello inferiore, due colonne scanalate e riccamente ornate da capitelli con cavalli alati, e il simbolo dei Domenicani, si affiancano ad un sontuoso ingresso sormontato dalla statua di San Domenico di Guzman. Il secondo ordine è delimitato da una bellissima balaustra a colonnine e presenta, nel mezzo, la statua della Vergine.

Ai lati ricchi trofei e sotto il timpano, arricchito da motivi ornamentali plastici, vi è una seconda balaustra a colonnine più piccola. L’interno è a croce greca, i cui quattro bracci si articolano verticalmente in due ordini. Il primo, ricco di decorazioni a rilievo, con i suoi pilastri sorregge il secondo, ove si aprono grandi finestre con lesene. Lungo il perimetro ottagonale, addossate ai pilastri, procedendo da destra si trovano le statue in pietra leccese dei SS. Tommaso D’Aquino, Agostino, Paolo, Pietro, Gregorio Magno, Ambrogio e Girolamo.

Di notevole interesse è il pulpito, l’unico dei templi leccesi costruito in pietra locale. Oltre l’altare maggiore, nella chiesa sono presenti altri dodici altari riccamente decorati da rilievi barocchi, da statue e da pregevoli tele. Al posto di una cupola, resa forse irrealizzabile dall’ampiezza e dalla prematura morte dello Zimbalo, fu realizzata una copertura a capriate lignee.

Alla base dei pilastri sono scolpiti i vari stemmi delle famiglie che contribuirono alla realizzazione della chiesa. La fabbrica venne affidata nel 1821 al sodalizio locale del Rosario, in seguito alla soppressione dell’Ordine dei Domenicani. Nel 1948, la chiesa si fregiò del titolo di Basilica minore, per volere del pontefice Pio XII. Attaccato alla chiesa c’è il Convento dei Domenicani, in origine realizzato con l’architettura ogivale e terminato nel 1408. Venne ricostruito nel XVIII secolo probabilmente da Emanuele Manieri, che distribuì all’estremità del prospetto, diviso in cinque parti da sei lunghe paraste, due ampi portali sormontati da balconi. L’interno presenta un grande chiostro e, attualmente, il convento è sede dell’Accademia delle Belle Arti.

chiesa di san giuseppeLungo la via dell’Acaya, dal nome di Gian Giacomo che nel 1584 promosse la costruzione della chiesa affidandola ai Padri Osservanti, si affacciava un tempo l’ingresso principale dell’edificio.

Nel corso del XVIII sec., quando i frati decisero l’ingrandimento della cappella originaria (che corrispondeva quasi all’attuale transetto), affidando i lavori al religioso C. Regina, il prospetto principale della chiesa venne spostato su via Ludovico Maremonti, nei pressi della piazza principale della città, dove si trovano le antiche vestigia dell’anfiteatro romano.

I recenti lavori di restauro della chiesa hanno messo in evidenza l’esistenza, all’interno di una stretta intercapedine muraria creata nella fase di trasformazione del corpo della chiesa, tra il muro originario e la cortina muraria settecentesca, dell’antico portale di accesso alla cappella voluta dal Dell’Acaya.

Un efficace taglio chirurgico della cortina muraria settecentesca, priva di significate connotazioni artistiche, rende oggi più facile la fruizione del portale, prima visibile solo attraverso un’apertura quadrilobata posta molto più in alto rispetto al piano stradale, valorizzando allo stesso tempo il prospetto laterale della chiesa e consentendo una più agevole lettura delle stratificazioni architettoniche dell’edificio.

Il portale, straordinario esempio di ornamentazione plastica di fine XVI secolo, è probabilmente opera del più celebre architetto attivo in città, Gabriele Riccardi. Incorniciata da una coppia di colonne binate finemente scanalate, poggiate su un podio recante una bugnatura a punta di diamante e sormontate da capitelli con foglie e angeli, la struttura è impreziosita da una ricca decorazione vegetale. Originariamente era sormontata da un rosone circolare, appena visibile oggi dalla strada, perché in parte occultato dall’avancorpo dell’attuale transetto della chiesa.

chiesa di san luigiLa Chiesa di Santa Maria della Porta sorge nelle immediate vicinanze di Porta Napoli. In origine, era una piccola cappella al di fuori delle mura che custodiva un’immagine della Vergine considerata miracolosa. In occasione del rifacimento delle mura, intorno al 1548, e per la fama del miracolo operato dalla Vergine nel 1567, a favore di una donna di nome Laura Macchia che per cinquant’anni era vissuta senza poter camminare, si decise di ampliare l’edificio e di costruirlo all’interno delle mura.

Dal 1606 fu destinato a essere sede di una parrocchia. L’incisione realizzata da Pompeo Renzo nel 1634 per l’opera “Lecce Sacra”, di Giulio Cesare Infantino, mostra il prospetto principale della Chiesa cinquecentesca caratterizzato da un profilo a spioventi, con un grande rosone nella parte centrale, mentre una serie di porte architravate, alcune con lunette istoriate, permettevano di accedere ai diversi ambienti della Chiesa. L’attuale edificio è stato ricostruito in forme neoclassiche dal 1852 al 1858 su disegni dell’architetto Giuseppe Maiola da Maddaloni.

La Chiesa, a pianta centrale ottagonale, si presenta all’esterno con una volumetria compatta e geometrica. Il prospetto principale presenta un portale architravato affiancato da alte lesene, con capitelli in stile ionico, sulle quali si imposta l’architrave e il frontone triangolare. L’ambiente ottagonale è coperto da una cupola rivestita all’esterno da mattonelle maiolicate policrome e decorata all’interno a lacunari con motivi floreali rastremati verso l’alto. Il perimetro interno è scandito da quattro arcate tangenti alla cornice su cui è impostata la cupola, decorate con motivi a ovuli e dentelli e impostate su paraste scanalate con capitelli corinzi. Si alternano ad esse quattro arcate più piccole, che immettono alle due cappelle rettangolari voltate a botte ai lati dell’ingresso e delle due cappelle a pianta semicircolare ai lati dell’abside. Tra le dedicazioni delle cappelle ricordiamo quella a Sant’Oronzo e al Sacro Cuore di Gesù a sinistra, e quelle a San Luigi e al Crocifisso a destra.

Nella cappella centrale di destra, delimitata da una balaustra in marmo, entro una nicchia al di sopra dell’altare, è collocata una scultura della Madonna della Porta. Diametralmente opposto è l’ingresso agli ambienti della sacrestia e, al di sopra di esso, è l’immagine dell’Immacolata. In controfacciata sono collocati l’organo e la cantoria dal profilo mistilineo. Il motivo decorativo a lacunari, presente nella cupola, ritorna nella calotta dell’abside centrale e nell’intradosso delle arcate maggiori.

La Chiesa è illuminata dal lucernario che si apre alla sommità della cupola e da sei finestre semicircolari, due delle quali ai lati dell’abside presentano vetrate policrome figurate con due angeli in adorazione del Sacro Cuore e con un angelo che salva le anime dal Purgatorio.

chiesa di san marco e sedileLa Chiesa fu costruita nel 1543 per volere della fiorente colonia di veneziani residente nella Città e per questo fu intitolata a S. Marco.

Fino ai primi decenni del XIX secolo era inserita all’interno del tessuto abitativo, il “quartiere dei veneziani”, e nei suoi pressi correvano anticamente le “Logge dei Mercanti” e la sede del Consolato veneziano.

I veneziani, desiderosi di avere una chiesa per celebrare i propri uffici religiosi, espressero tale necessità al Vescovo di Lecce G.B. Castromediano, che donò loro la cappella di S. Giorgio sita nell’area centrale della “Piazza dei Mercanti”.

Essi dettero allora l’incarico di trasformare la vecchia struttura al più celebre architetto attivo in città, Gabriele Riccardi. A lui riconducono sia il semplice schema geometrico della facciata di stampo tardo-rinascimentale, un unico blocco cubico che concentra tutta la sua ricchezza ornamentale nell’asse centrale portale-rosone, sia gli elaborati fregi scultorei in pietra leccese che connotano i portali e richiamano da vicino analoghi elementi ornamentali presenti nella parte inferiore della facciata della chiesa di S. Croce. Si vedano, ad esempio, il fitto motivo a candelabre e a intrecci viminei che decora il portale centrale lungo la cornice, dietro le colonne, sull’architrave e sull’arco della lunetta, e la teoria di archetti pensili disposti in alto a chiusura del prospetto frontale. Completa la decorazione di quest’ultimo, sempre sulla lunetta del portale d’ingresso, il leone alato con il libro, simbolo dell’evangelista S. Marco: anch’esso, per la sua araldica eleganza, si avvicina al gusto plastico del suo celebre maestro.

Proseguendo a destra della chiesa si trova il portale laterale reso interessante dai raffinatissimi motivi decorativi di sapore ancora rinascimentale ma chiaramente inclini al nuovo gusto adriatico. L’interno si articola in un solo vano caratterizzato da una volte a botte lunettata decorata da vigorosi motivi floreali e ghirlande: un tempo doveva esserci anche un altare con un ricco paliotto in pietra con statue, oggi perduto.

La chiesa ha subito un radicale intervento di restauro alla fine del XIX secolo, mentre più recente è il lavoro di recupero dei paramenti esterni della facciata. Annessa alla chiesa, sulla sinistra, vi è il Sedile, costruito nel 1592 su incarico dell’allora sindaco veneziano Piero Mocenigo, in sostituzione del vecchio abbattuto nel 1588. L’edificio, un interessante mescolanza di spirito gotico e rinascimentale, è caratterizzato da quattro pilastri forati ad ovuli che incorporano una colonna, fra cui si aprono grandi arcate ogivali a sesto acuto sormontate da logge e decorate da trofei. Il tipo di pilastro angolare richiama il tipo ideato con molta probabilità da Gabriele Riccardi: lo stesso pilastro si può vedere, infatti, anche all’angolo della fiancata destra di Santa Croce. Anticamente, come si osservava in stampe d’epoca della piazza, l’edificio era completato anche da un orologio sormontato da due statue. La struttura, utilizzata in passato per vari usi istituzionali e come luogo di esposizione, fino al 1851, è stata sede del Municipio della città mentre oggi è destinata nuovamente a mostre d’arte ed esposizioni.

La chiesa di San Matteo si eleva maestosa alla confluenza di uno stretto reticolo viario, costituendone un’ideale quinta scenografica. Riedificata dalle fondamenta, essa sostituì la più antica cappella dedicata al Santo Apostolo, cui era annesso un convento di terziarie francescane, di fondazione quattrocentesca.chiesa di san matteo

La posa della prima pietra risale al 1667, celebrata nell’epigrafe posta in facciata al di sotto della nicchia a destra del portale, a opera del Vescovo leccese Luigi Pappacoda(1639-1670), intraprendente mecenate impegnato in prima persona in quel processo di rinnovamento urbano che avrebbe fatto di Lecce una città-chiesa.

Un’ulteriore iscrizione nel fastigio di coronamento riporta l’anno 1700, in riferimento alla conclusione dei lavori. Progettata dall’architetto leccese Achille Larducci, l’intera fabbrica rivela nell’articolazione sintattica l’importazione dei modelli aulici del barocco italiano traFrancesco Borromini e Guarino Guarini, tuttavia reinterpretati in chiave locale.
La complessa facciata a due ordini, scanditi da una trabeazione curvilinea poggiante su modiglioni scanalati, si caratterizza per l’andamento concavo-convesso delle superfici risolte in un esuberante alternarsi di elementi strutturali e decorativi. L’andamento curvilineo dell’ordine inferiore tripartito è arginato da alte paraste quadrangolari mentre poderose colonne inquadrano il portale centrale architravato, sormontato da una nicchia al di sopra della quale, entro un timpano spezzato, è allocato lo stemma francescano. Simmetricamente collocate ai lati dell’ingresso, si aprono due nicchie emergenti su uno sfondo a punta di diamante.

Al profilo convesso e ricoperto di scaglie dello scomparto inferiore centrale si contrappone la concavità della parte centrale liscia dell’ordine superiore, sulla quale si apre una serliana coronata da una modanatura continua. Lateralmente, a riproporre il motivo inferiore, sono due nicchie riccamente decorate. L’andamento sinuoso è accentuato dalla possente cornice modanata mistilinea di coronamento, sormontata da un fastigio tra pinnacoli in asse con le nervature verticali. Lo spazio interno, più sobrio rispetto all’esterno, è organizzato intorno a un vano ellittico su cui si aprono il presbiterio a terminazione piatta e le brevi cappelle laterali a pianta rettangolare, intervallate da paraste d’ordine gigante su cui s’imposta, al di sopra dell’aereo matroneo, una trabeazione continua.

L’illuminazione dell’aula è affidata a coppie di finestre in asse con le sottostanti cappelle che diventano, in corrispondenza del presbiterio, un’unica trifora riproducente l’analoga apertura in facciata. Della preziosa veste pittorica e scultorea della chiesa si segnalano gli altari lapidei tipici della tradizione barocca leccese, le statue dei Dodici Apostoli realizzate da Placido Buffelli nel 1692, come si evince dalla iscrizione sul piedistallo del San Filippo, la statua lignea di San Matteo sull’altare maggiore del napoletano Gaetano Patalano (1691), il Martirio di Sant’Agata di Pasquale Grassi (1813) sul primo altare a sinistra, le tele con Sant’Anna e la Vergine Bambina e Sant’Oronzo (1786), entrambe di Serafino Elmo, rispettivamente collocate nella quarta e nella prima cappella a destra, l’affresco cinquecentesco della Madonna della Luce nella quinta cappella a destra. Sulla cantoria si conserva una copertura d’organo in legno dorato e intagliato del XVIII secolo proveniente dalla chiesa di Santa Croce.

chiesa di san sebastianoSecondo quanto riporta Giulio Cesare Infantino nella sua “Lecce Sacra” del 1634, la Chiesa di San Sebastiano “è una chiesa appresso la Cattedrale, la quale fu edificata l’anno 1520 d’elemosine e di Legati pij, in tempo che fu la peste in questa città, la quale fu tale che morì gran parte del popolo della Città di Lecce”.

L’edificio votivo, intitolato al Santo Protettore degli appestati, sorse sul luogo di una preesistente chiesa rupestre dedicata ai SS. Leonardo, Sebastiano e Rocco, riportata alla luce nel 1762, occasione in cui si credette di aver ritrovato le spoglie dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato.

Qualche decennio più tardi, il cappuccino Bernardino da Balbano stimolò con le sue infervorate prediche la fondazione di un convento di Cappuccinelle, annesso alla chiesa e destinato ad accogliere “le Pentite”, ovvero fanciulle dal passato peccaminoso. Queste religiose, chiuse nel segreto claustrale, erano dedite a confezionare ventagli di carta bianca. All’inizio del XVIII secolo, il sacerdote Giuseppe Tredici aumentò le rendite consentendo anche alle fanciulle orfane di entrare nel conservatorio, mentre un ulteriore legato di Leandro Casavecchia stabiliva che fosse elargita la dote a un’orfanella nel giorno della festa della Maddalena.

Soppresso il Conservatorio, la chiesa fu officiata dalla Confraternita del Sacro Cuore della Vergine Immacolata di Gesù.

L’edificio, sconsacrato nel 1967, presenta un semplice impianto planimetrico a navata unica, originariamente coperta a tetto, con un breve presbiterio voltato. Le pareti laterali, scandite da arcate a tutto sesto, ospitavano altari che secondo la documentazione della fine del XIX secolo ammontavano a sette, oggi quasi tutti smembrati. Sull’altare maggiore era sistemata una tela dell’Immacolata, fiancheggiata dalle statue lapidee di San Sebastiano e San Rocco. Del corredo decorativo originario restano alcuni affreschi, probabilmente risalenti alla fine del XVI secolo, tra cui si segnala una Imago Pietatis sul fianco destro.

All’esterno la facciata, in pietra leccese con semplice profilo a spioventi, è ingentilita da una teoria di archetti pensili al di sotto dei quali si apre il portale con gli stipiti decorati da motivi a candelabra e con un architrave poggiante su colonnine scanalate, anch’esso istoriato con motivi floreali e simbolici.

chiesa di sant'annaLa Chiesa di Sant’Anna (iniziata nel 1680) presenta una struttura architettonica semplice,lineare, di impronta classica e ripropone lo stesso disegno compositivo della facciata principale della Cattedrale, uno dei motivi che ha suggerito la sua attribuzione al medesimo autore,Giuseppe Zimbalo (1620-1710), detto lo “Zingarello”.

Il prospetto risulta inquadrato entro i margini di due parallelepipedi sovrapposti, ma di ampiezza differente, coronati da timpano e conclusi da copertura a capanna.

Le colonne di sostegno per il secondo ordine sono sostituite da due paraste per lato che inquadrano due nicchie, con le statue di San Pietro a destra e San Paolo, a sinistra. A conclusione delle paraste, i capitelli corinzi sono collegati tra loro con festoni floreali.

Agli spigoli esterni dell’edificio le colonne portanti sono sostituite dalle stesse paraste, posate su una pronunciata zoccolatura. Nel secondo ordine, al di sopra della cornice dentellata e aggettante, troneggia una statua di Sant’Anna a mezzo busto, affiancata da due angeli. Anche qui si ripropone la tripartizione con paraste del primo ordine e le due nicchie accolgono le statue di Sant’Andrea a destra e San Giovanni Evangelista a sinistra. In corrispondenza del portale d’ingresso, inquadrato da un architrave con fregio, un finestrone entro una cornice mistilinea, con tre pinnacoli ornamentali, risale verso un secondo cornicione aggettante fino ad introdurre il timpano a spiovente che ripropone il medesimo motivo a dentelli. Un oculo ellittico, posto al centro come a simboleggiare la divinità, è affiancato da due propaggini di paraste che configurano il timpano spezzato, per andare poi a sostenere sul tetto due vasi e due calici, a completamento della composizione.

Sulla parete destra dell’edificio, verso il palazzo del Conservatorio, c’è una seconda porta d’ingresso, inquadrata da un portale modanato e quattro finestre, due delle quali originatesi da un matroneo, mentre le altre due, più in alto, sono allungate per favorire la penetrazione della luce. Si tratta di un complesso edilizio architettonicamente ben strutturato e solido nella sua elegante scansione formale, che in sé riassume gli elementi e l’impostazione stilistica suggeriti dalla concezione ideologica della Controriforma, quali si riscontrano in altre chiese cittadine, la Chiesa di Sant’Irene e quella del Gesù.

chiesa di sant ireneLa Chiesa di S. Irene, detta dei Teatini, è stata eretta in onore della Santa di Tessalonica, compatrono di Lecce, prima del 1656, anno in cui fu proclamato il patrocinio leccese di Sant’Oronzo dal Pontefice Alessandro VII. La fabbrica fu eseguita da maestranze leccesi, a spese dell’Università, su disegno del teatino Francesco Grimaldi, tra il 1591 e il 1639, anno della solenne consacrazione del tempio, ad opera del Vescovo di Brindisi.

Tradizionalmente riferita al modello di Sant’Andrea della Valle a Roma, dove lavorò lo stesso Grimaldi, fu edificata dopo il Sant’Andrea delle Dame e il S. Paolo Maggiore di Napoli, che rappresentano i precedenti architettonici più stringenti per la Basilica leccese, ma il classicismo di queste due chiese napoletane in Sant’Irene diventa più rigido e vuoto nella realizzazione delle maestranze locali guidate da Antonio Rienzo e Giambattista Perulli.

La facciata a due ordini è scandita da paraste sovrapposte e da colonne, intervallate in basso da nicchie e cartigli e in alto da finestroni. Il portale è sormontato dalla statua di Sant’Irene, eseguita nel 1717 da M. Manieri, in origine patinata in bronzo, più in alto sul cornicione marcapiano è lo stemma civico della lupa col leccio coronato mentre, al centro del timpano, le insegne dell’ordine concludono simbolicamente il legame iconologico espresso nella facciata tra i Teatini e la Città.

L’interno è a una navata aperta nei fianchi da profonde cappelle, con altari fastosi, specialmente nel transetto, attribuiti a Francesco Antonio Zimbalo. Tra gli artisti presenti si distinguonoCesare Penna, G. Cino, M. Manieri, G. Verrio, O. Tiso e i padri teatini F.M. Galletti e P. Caracciolo, autore quest’ultimo di un monumentale tabernacolo presente sull’altare maggiore.

Di notevole interesse pittorico è la grandiosa tela del Tiso, il “Trasporto dell’Arca”, collocata nella parete dell’abside, e proveniente dalla Cattedrale. Nel transetto destro spicca il settecentesco altare dedicato a Carlo Borromeo, raffigurato in una tela affiancata da coppie di colonne tortili. Nel transetto sinistro vi è il pregevole altare dedicato a Sant’Irene, ricco di decorazioni e statue, tra cui nove busti di Santi posti in nicchie che occupano la parte centrale dell’altare, anch’esso affiancato da colonne tortili. Il campanile della Chiesa fu utilizzato come stazione del telegrafo ad asta.

Nel 1860, nella Chiesa, si svolsero le operazioni per il plebiscito per l’unità nazionale. Nel 1866, in seguito alla seconda soppressione dei Teatini, la Chiesa rimase aperta al culto e affidata al teatino leccese Personè. Il 18 gennaio 1809, fu stipulata la trasmissione in toto della Chiesa con l’annesso convento al Comune di Lecce, con la condizione di continuare la pratica del culto. L’intero complesso è perfettamente integrato nell’ambiente urbano, così come l’opera dei clerici regolari doveva essere in sintonia con la vita spirituale e temporale dei leccesi.

chiesa di santa chiaraL’attuale Chiesa di Santa Chiara, fondata nel 1687, sorge sull’area del precedente edificio religioso del XV secolo.

La Chiesa è stata attribuita da alcuni all’architetto leccese Giuseppe Cino, ma l’attribuzione non è concorde. La facciata, rimasta priva del fastigio superiore, presenta un andamento convesso scandito in due ordini separati da una cornice marcapiano modanata, percorsa da un motivo a dentelli. Il registro inferiore accoglie al centro un elegante portale con stipiti decorati con motivi vegetali e timpano spezzato mistilineo, con al centro una ghirlanda floreale sorretta da due angeli e, nella parte superiore, lo stemma dell’Ordine.

La superficie è scandita dall’alternanza di colonne e paraste scanalate doppie, innalzate su un alto basamento, ritmicamente alternate a nicchie con cartigli e medaglioni decorati.

Il registro superiore accentua lo slancio verticale raccordandosi all’ordine inferiore con volute e motivi curvilinei. Anche nella parte superiore si replica la disposizione delle nicchie affiancate a paraste scanalate doppie, ai lati di un’ampia finestra centrale con timpano risolto in due volute laterali. L’edificio presenta una pianta ottagonale allungata con profondo presbiterio coperto con volte a stella. Anche all’interno le pareti sono scandite in due ordini da una cornice continua, modanata e decorata con un elegante motivo a dentelli e a festone continuo che asseconda l’andamento dell’ottagono i cui lati sono intervallati dalle paraste scanalate con capitelli corinzi poco aggettanti.

Nel registro inferiore si aprono tre cappelle per lato poco profonde, che accolgono complesse macchine d’altare in parte dorate e riccamente ornate con colonne tortili animate da racemi avvolgenti, volatili e angioletti, volute, cartigli, ghirlande e sculture. Nelle nicchie d’altare sono inserite le statue lignee di stile napoletano della fine del XVII secolo, raffiguranti S. Francesco Saverio, S. Francesco d’Assisi, S. Pietro d’Alcantara, a destra, e S. Gaetano di Thiene, S. Antonio da Padova e l’Immacolata, a sinistra. Lo spazio tra le cappelle, delimitato da coppie di paraste, accoglie dipinti raffiguranti scene evangeliche, episodi della vita di santi e soggetti devozionali. In corrispondenza delle cappelle si aprono, nel registro superiore, sette ampie finestre dal profilo mistilineo alternate a nicchie che accolgono sculture della Beata Beatrice, Agnese, Amata e Ortulana. Lungo le pareti si aprono anche i cori con grate da cui le Clarisse partecipavano alla liturgia. Il monumentale altare maggiore ai cui lati svettano colonne tortili con racemi avvolgenti, completamente decorato con stucchi barocchi, accoglie al centro di una nicchia la statua di Santa Chiara. Come spesso accade nelle Chiese barocche leccesi, anche in Santa Chiara le cappelle con le macchine d’altare, le sculture e le tele formano un’unità con gli apparati scenici e decorativi.

chiesa di santa elisabettaLa chiesa, anticamente dedicata a Sant’Andrea, è conosciuta anche come “Chiesa Nova o di Santa Elisabetta”. In principio apparteneva ai Canonici Lateranensi, poi passò alla famiglia Mattei, fondatori di Novoli e Palmariggi, successivamente alla famiglia Pedio e poi a Francesco Micheli, Presidente del Tribunale di Lecce, la cui moglie Matilde Scarciglia l’ha donata all’Arcidiocesi di Lecce. Nel 1586 fu affidata ai Padri Teatini, mentre due secoli fa vi officiava la Confraternita della Visitazione della Vergine di Santa Elisabetta.

La fabbrica, iniziata nel 1519, ha un portale rinascimentale sormontato da un rosone in pietra leccese, rifatto nel secolo XIX.La cappella, di modeste dimensioni, ad aula unica e con soffitto a volta, è conclusa nel vano absidale da una cupola emisferica con tamburo. La luminosità interna è assicurata da sei finestre, di cui tre tompagnate, che evidenziano il carattere plastico-strutturale della cappella. Ai lati vi sono quattro altari settecenteschi e tele che raffigurano la Pietà di Sant’Antonio e San Gerardo Maiella. In una nicchia vi è collocata la statua in cartapesta di Santa Elisabetta d’Ungheria, di pregevole fattura settecentesca. Lungo le pareti sono ancora presenti le XIV stazioni in cartapesta e altorilievo della Via Crucis, opera di buona fattura ottocentesca. In origine, all’interno della chiesa, vi erano un organo, la statua di San Gerardo Maiella e un coro ligneo dove erano scolpite le effigi di Cristo Nostro Signore e dei dodici apostoli. Sull’altare maggiore vi è la statua dell’Assunzione della Vergine, opera in cartapesta probabilmente della fine del XVII secolo. Annesse alla chiesa, la sacrestia e una serie di stanze poste dal lato destro posteriore, che in origine, probabilmente, erano riservate all’Abbate e agli altri cappellani.

La cappella era dedicata anche a Sant’Andrea, cui era anche dedicato il quartiere. Il sacro edificio, ricollegabile anticamente a quello di San Sebastiano o delle “Pentite” è, con quest’ultimo, la più antica Chiesa del centro storico leccese. Un senso di misticismo sembra invadere chi entra nella cappella, in origine accentuato dal suono delle campane, le più antiche delle chiese leccesi.

chiesa di santa mariaI Minimi di San Francesco di Paola giunsero a Lecce nel 1524 e s’insediarono nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli, fondata con l’annesso convento dalla nobile Giovannella Maremonte, esecutrice delle volontà testamentarie del defunto marito, il fiorentino Bernardo Peruzzi. Nel 1527 la fondatrice stabiliva, nel suo testamento, la concessione ai Paolotti di un uliveto e della somma di trecento fiorini per il completamento della fabbrica della chiesa e del convento. Sorto al di fuori delle mura medievali, a metà del ‘500, il complesso fu inglobato all’interno della nuova cinta muraria voluta da Carlo V, vicenda che comportò una parziale ricostruzione della fabbrica.

Sottoposta a rifacimenti tra il XVII e il XVIII secolo, che in parte ne hanno modificato l’originario aspetto, la chiesa è divenuta parrocchia nel 1934 a seguito dell’espulsione dei religiosi nella seconda metà del XIX secolo. La facciata presenta un profilo a terminazione piatta, in corrispondenza delle navate e a salienti spezzati nella parte centrale, il cui andamento è segnato da una teoria di arcatelle su mensole figurate. Il portale dal fitto modellato plastico è riferito all’attività dello scultore leccese Gabriele Riccardi. Il repertorio ornamentale investe le partiture in un’esuberante sintesi di elementi decorativi tipicamente rinascimentali, con motivi a girali floreali, grottesche e panoplie.

Le colonnine laterali sorreggono l’architrave recante una teoria di fluttuanti amorini di ippocampi. La lunetta superiore, con profilo semicircolare scandito da testine alate e fiancheggiate dagli stemmi dei Peruzzi e dei Maremonte, risulta racchiusa entro una cornice rettangolare; essa accoglie l’altorilievo della Vergine in trono con Bambino incoronato e adorato da angeli, attribuito a Francesco Antonio Zimbalo. L’iscrizione sovrastante, posta al di sotto della finestra con cornice mistilinea, ricorda la statua di San Michele Arcangelo che, distrutta da un fulmine, fu ricollocata entro il fastigio di collocamento nel 1620. Ai lati del portale si aprono, in asse con quelle superiori, due finestre rettangolari inserite nel XVII secolo. L’edificio presenta un impianto longitudinale a tre navate, con presbiterio a terminazione piatta. L’arredo della chiesa, arricchitosi nel corso dei secoli, accoglie pregevoli testimonianze pittoriche e scultoree.

Nella navata sinistra si ricordano il terzo altare con la Strage degli Innocenti, attribuita ad Antonio Verrio (XVII sec.) e il quinto con la Madonna di Costantinopoli e i SS. Caterina d’Alessandria e Michele Arcangelo, realizzata nel 1564 da Gianserio Strafella, personalità di spicco della pittura manierista in terra d’Otranto. Nella navata destra si segnalano, inoltre, il primo altre con l’Annunciazione del 1726, il secondo con la Natività di Maria di scuola veneta dell’inizio del XVII sec., il terzo con il San Carlo Borromeo (inizio XVII sec.) di Gian Domenico Catalano, prolifico interprete del tardomanierismo pugliese, cui pure viene riferita la frammentaria Madonna del Rosario sul sesto altare. Nel presbiterio sono le due tele con la Vergine bambina e i SS. Gioacchino e Anna di P. Colavita e la Presentazione al Tempio, proveniente dalla distrutta Chiesa di Santa Maria del Tempio.

chiesa di santa maria della paceLa Chiesa fu realizzata tra il 1738 e il 1742 per i frati Fatebenefratelli che gestivano nel convento attiguo un ospedale intitolato a Santa Maria della Pace. L’edificio, sorto su un luogo di una chiesa preesistente, fu costruito su progetto dell’architetto Mauro Manieri.

Il prospetto, assai sobrio, è caratterizzato dal movimento della superficie muraria generato dall’arretramento dei due corpi laterali e dall’articolazione in due ordini sovrapposti, suddivisi da una robusta cornice marcapiano e conclusi da una terminazione mistilinea ad archi inflessi.

L’ordine inferiore, scandito dalla successione di quattro paraste doppie sormontate da capitelli corinzi, accoglie un alto portale d’ingresso concluso da una semplice trabeazione piatta; quello superiore, invece, presenta nel mezzo una finestra, ornata da eleganti volute di raccordo con elementi fogliacei e festoni.

L’interno, a pianta rettangolare e a navata unica, presenta una superficie muraria scandita da lisce paraste corinzie, ritmate dalla presenza di due cappelle laterali. L’altare maggiore accoglie la tela raffigurante la visione di San Giovanni di Dio, dipinta da Bonaventura Manieri, figlia dell’architetto Mauro.

All’interno della chiesa erano custodite, inoltre, alcune statue in cartapesta degli inizi del XX secolo, oggi conservate in un locale del Castello di Carlo V, tranne quella raffigurante la Madonna Orante, che è ancora visibile in chiesa.

chiesa di santa maria di costantinopoliLa Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli fu riedificata nel 1663 su un precedente edificio medievale. La tradizione vuole che il Convento degli Agostiniani, inizialmente dedicato a Santa Maria, risalisse al 1061 e che nel 1300 fosse dedicato anche a San Michele Arcangelo.

L’edificio fu ricostruito su progetto di Giuseppe Zimbalo, ma i rapporti tra l’architetto e i Padri Agostiniani non furono molto pacifici, perché la fabbrica presentò ben presto delle lesioni. La facciata, rimasta incompiuta nella parte superiore, presenta nella parte inferiore una ritmica successione di lesene scanalate doppie, interrotte da fregi e puttini, alternate a nicchie fregiate da eleganti cornici. Al centro, il portale è inquadrato da slanciate colonne con scanalature serrate nella parte inferiore e più larghe al di sopra del festone che interrompe il fusto.

Gli stipiti del portale presentano motivi fitomorfi e volute, mentre l’architrave è decorata con un fregio continuo. Un festone con vivaci puttini è inserito nel timpano curvilineo e, al di sopra di esso, due angeli affiancano la scultura della Madonna con il Bambino. La porta, rivestita in bronzo, il cui disegno è attribuito a Emanuele Manieri, reca la data MDCCL e, a rilievo, l’aquila bicipite dell’Ordine degli Agostiniani. Le metope scolpite, collocate tra i capitelli, celebrano in maniera emblematica l’Ordine religioso e la Chiesa, mentre il fregio continuo, che divide orizzontalmente la facciata, riporta l’iscrizione con le lettere sorrette da putti, aquile e leoni “Deiparae Costantinopolitanae ab initio dicatum et reaedificatum 1663”. Il registro superiore, raccordato dalle volute laterali, replica il ritmo della parte inferiore con un repertorio decorativo molto simile. La chiesa presenta un impianto a croce latina con transetto non sporgente e coro a terminazione piatta.

Lo sviluppo longitudinale della navata è scandito dall’apertura di quattro arcate per ciascun lato, alternate a paraste scanalate con capitelli figurati, su cui corre una cornice marcapiano con motivo decorativo a dentelli che separa il registro superiore con le finestre rettangolari alternate alle lesene.

Le cappelle accolgono altari barocchi riccamente lavorati con colonne tortili, fregi, festoni, statue, volute e pinnacoli. Alle estremità del transetto, vi sono due monumentali macchine d’altare: quella di destra, dedicata all’Addolorata, con al centro la statua in cartapesta del XIX secolo di Antonio Maccagnani e quella di sinistra dedicata a Sant’Antonio Abate, con una tela di Alessandro Calabrese.

Si segnalano, inoltre, la tela seicentesca raffigurante la Madonna con Bambino tra i Santi Caterina d’Alessandria, Geltrude, Agostino e Nicola da Bari, nella zona presbiteriale, la tela di Sant’Antonio da Padova sul secondo altare a destra e l’Immacolata, attribuita a Oronzo Tiso, sul quarto altare a destra, mentre sugli omonimi altari nelle cappelle di sinistra, le statue lapidee di San Tommaso di Villanova, di San Michele Arcangelo e di San Nicola da Tolentino.

chiesa di santa teresaLa Chiesa di Santa Teresa e l’attiguo Convento furono fondati nel 1620, anno in cui ai Padri Carmelitani Scalzi furono donati i beni del Canonico Annibale Mercurio e un lascito di 2000 ducati di Giuseppe Paladini.

La fabbrica fu canonizzata nel 1622 e completata nel 1630. E’ dedicata a Santa Teresa d’Avila, riformatrice dell’Ordine dei Carmelitani. L’edificazione della Chiesa ebbe inizio sotto la direzione di Cesare Penna ma fu Giuseppe Zimbalo a portare a compimento l’opera.

La Chiesa presenta una configurazione volumetrica semplice e compatta, risultato di un progetto unitario mai portato a compimento.

L’ingresso principale su via Libertini è leggermente arretrato dal ciglio stradale mentre quello laterale si affaccia su via Santa Venera. Il prospetto, rimasto incompleto, si articola in due ordini ed è caratterizzato da un notevole effetto plastico accentuato dall’esuberanza decorativa delle colonne e dai festoni floreali. Il primo ordine è scandito da colonne corinzie scanalate e da due nicchie con le statue di San Giovanni Evangelista e di San Giovanni Battista, al centro si apre un ampio portale sormontato dall’insegna dell’Arciconfraternita del Crocifisso. Nel secondo ordine, incompiuto, vi è al centro una finestra in asse col portale. Il prospetto, nella parte inferiore, ha un carattere collegabile alle costruzioni del Coluzio o del Grimaldi, mentre, nella metà superiore, presenta un impianto vicino a quello del Rosario.

L’interno è a croce latina e a una sola navata, con il breve transetto, e sei cappelle, tre per lato, con i rispettivi altari. Il volume interno del complesso appare delimitato da spesse strutture murarie e risulta statico e uniforme e ben illuminato dalle alte finestre che si aprono nei muri perimetrali, ben contenuti nella volta carenata. L’altare maggiore, in marmo, fu realizzato nell’ottocento in sostituzione di quello a tarsie e marmoree filigrane del XVII secolo, ricomposto nel XIX secolo nella Cattedrale e precisamente nella cappella dei SS. Anna e Flippo Neri. Pregevoli dipinti raffiguranti Sant’Anna, l’Adorazione dei Magi, San Giovanni Battista e Sant’Antonio da Padova si possono ammirare nel braccio destro del transetto, mentre in quello sinistro l’Adorazione dei Pastori, Giuditta col capo di Oloferne e Salomè col capo di San Giovanni Battista. Sulla controporta è presente la statua di Sant’Oronzo in cartapesta, opera del maestro leccese Achille De Lucrezi. La Chiesa, con R.D. del 20 settembre 1831, fu concessa all’arciconfraternita del Crocifisso e Gonfalone, fuse dal Vescovo Nicola Caputo con bolla del 7 maggio 1831. Alla fabbrica si attacca il Convento dei Carmelitani Scalzi che osservano l’originaria regola dei Carmelitani. Dopo la soppressione degli ordini religiosi nel 1831, il Convento fu destinato prima a caserma e poi a scuola.

chiesa e monastero di san giovannievangelistaLe origini dell’antico e imponente complesso monastico, ubicato a ridosso della cinta muraria a est della Porta di San Giusto (Porta Napoli), si legano alla politica religiosa attuata dalla dinastia normanna. Da un documento del 1133, si ricava che il monastero fu fondato a spese del conte normanno Accardo e ospitò una comunità di monache Benedettine la cui prima badessa fu Agnese, sorella del fondatore. Successive Bolle Papali ne confermavano i privilegi, ponendolo sotto la diretta autorità pontificia. Ormai perse le tracce della fabbrica medievale, chiesa e monastero costituiscono allo stato attuale il risultato di molteplici rifacimenti, resi necessari nel corso dei secoli sia per la vetustà delle strutture che per assecondare nuove esigenze funzionali e abitative.

Il corpo di fabbrica del monastero, articolato su due piani, subì ampliamenti e radicali trasformazioni a partire dal XVI secolo, specialmente tra il XVIII e il XX secolo. Agli inizi del ‘900 l’ala sinistra, innalzata nel 700, fu ristrutturata e adibita a edificio scolastico. Distribuiti intorno al chiostro quadrato, ritmato da arcate impostate su robusti pilastri quadrangolari, erano gli spazi destinati alla vita comunitaria: la sala capitolare, il dormitorio, la biblioteca, l’infermeria, il refettorio, la cucina, il forno, il mulino, i granai e gli orti. Al fine di agevolare la vita claustrale delle nobili fanciulle salentine, il monastero era dotato di oratori, veri e propri appartamenti privati con cappella e orto annessi. Degno di nota è quello della Visitazione, realizzato nel 1750, che in parte conserva ancora l’arredo settecentesco.

La chiesa, ricostruita nuovamente nel 1607, come ricorda l’iscrizione posta in facciata, fu consacrata nel 1761. L’austero prospetto ospita, al di sotto del profilo a cuspide, una nicchia con la statua di San Benedetto, inquadrata da due finestre rettangolari, ed è preceduto da un portico aggettante ad un fornice, sormontato da un orologio inserito nel 1923. Sul fianco sinistro si erge la torre campanaria dell’inizio del XVI secolo, il cui duplice ordine risulta scandito da cornici marcapiano su teorie di arcatelle, al di sotto delle quali si aprono finestre decorate.

L’interno presenta un impianto longitudinale a croce latina con copertura a tetto, celato all’interno da un controsoffitto ligneo a lacunari della fine del XVII secolo, che ospita le tele delle Nozze di Cana e dei SS. Benedetto e Scolastica, rispettivamente al centro del transetto e della navata. Gli altari laterali di gusto barocco e rococò, ubicati entro arcate poco profonde, sono dedicati all’Assunta e a Santa Scolastica (I e II a sinistra), a Sant’Ignazio di Loyola e a San Benedetto (I e II a destra). Quelli del transetto, realizzati nel 1752, recano le tele settecentesche di Serafino Elmo con la Natività a destra e l’Ascensione di Gesù a sinistra, mentre l’altare maggiore, consacrato nel 1774, è intitolato a San Giovanni Evangelista. Del ricco arredo che impreziosiva la chiesa si ricorda, infine, il polittico tardotrecentesco con la Madonna e Santi, attribuito al veneziano Jacobello di Bonomo, attualmente custodito presso il Museo Provinciale della città.

chiesa di san niccolò dei greciLa storia delle comunità di rito bizantino, assai numerose in Terra d’Otranto, trova un’importante testimonianza nella Chiesa di San Nicolò dei Greci, parrocchia della colonia albanese e greca residente in città. Fino al 1575, la parrocchia ebbe la sua sede in una cappella, ubicata dove attualmente sorge la Chiesa del Gesù.

Concessa l’area ai Gesuiti, la cappella venne distrutta e la colonia greca fu costretta a trasferirsi in altre chiese greche, fino a trovare definitiva sistemazione in quella di San Giovanni del Malato che fu riconsacrata a San Niccolò dei Greci.

Nel 1765, su disegno di Francesco Palma, Lazzaro Marsione, Lazzaro Lombardo e Vincenzo Carrozzo, l’edificio fu ricostruito venendo così ad assumere l’attuale connotazione tardobarocca. La semplice facciata risulta tripartita da un doppio ordine di paraste, scandite orizzontalmente da una trabeazione. All’unico portale, con lunetta dal cartiglio barocco, corrisponde in alzato una finestra dal profilo mistilineo.

L’ordine superiore, chiuso lateralmente da pinnacoli, risulta movimentato dalle volute laterali di raccordo e dalla cornice modanata di coronamento, alleggerita da una decorazione a girali lapidei.

Lo spazio interno presenta uno sviluppo ad aula unica monoabsidata, scandita in tre campate coperte a volta. Alcuni saggi, effettuati in occasione dei restauri, hanno individuato l’impianto dell’antica chiesa di fondazione medievale, a tre navate chiuse da absidi con tracce di affreschi, ancora visibili nell’attuale zona absidale. L’articolazione dello spazio liturgico riflette la funzionalità di chiesa bizantina. L’aula destinata ai fedeli è, infatti, separata dalla zona dell’altare (bema) tramite l’iconostasi in pietra leccese che, dotata di tre ingressi, accogli tavole dipinte. Esemplare questo di Lecce che, insieme a quello della Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta, costituisce una rara testimonianza di arredo liturgico post-bizantino conservatosi integro. Le icone, diverse per mano e cronologia, trovano un’ampia datazione tra il XVI e il XIX secolo.

Nel registro inferiore, allocate negli spazi tra le porte, sono le quattro icone raffiguranti San Giovanni Battista, la Vergine col Bambino, Gesù Sommo Sacerdote, San Nicola, delle quali le ultime tre conservano l’originaria stesura cinquecentesca. I dipinti della porta centrale, detta Reale, e di quelle laterali, rispettivamente con il Noli me tangere, gli Arcangeli Michele e Gabriele, sono attribuiti a un pittore pugliese attivo tra il XVII e il XVIII secolo.

Nel registro superiore sono la sequenza dei Dodici Apostoli fiancheggiata lateralmente dalle scene (quattro per lato) della vita di Cristo e della Vergine, il Crocifisso svettante al di sopra delle tre tavole della Deesis e inquadrato dalle immagini della Vergine Addolorata e di San Giovanni Evangelista. Degna di nota è la tavola con San Spiridione in trono, datata 1775 (ma realizzata su un dipinto precedente) e firmata da Demetrio Bogdano. Questo prete-pittore, originario di Corfù, fu parroco della chiesa fino al 1841 e intervenne sull’iconostasi dipingendo ex novo o ridipingendo alcune tavole. Segno ininterrotto della tradizione bizantina in Terra d’Otranto, la chiesa è ancora oggi parrocchia cattolica di rito bizantino, dipendente dall’Eparchia di Lungro, in provincia di Cosenza.

chiesa santi nicolò e cataldoLa Chiesa e il Monastero vennero fondati nel 1180 da Tancredi, Conte di Lecce, come testimoniano le iscrizioni sugli architravi del portale principale e di quello laterale, sul lato destro della Chiesa, dalla parte del chiostro. Tancredi affidò il complesso ai monaci benedettini, ai quali seguirono, nel 1494, per volere di Alfonso II, re delle due Sicilie, gli Olivetani che rimasero fino al 1807. A questi si devono i lavori di ristrutturazione che comportano la radicale trasformazione.

La Chiesa è uno dei più interessanti monumenti dell’architettura medievale di Terra d’Otranto, straordinario esempio di quell’intreccio tra cultura orientale e occidentale, che connota tanti monumenti della Puglia tra l’XI e il XII secolo. Alla cultura orientale, in particolare quella islamica, rinviano soprattutto la cupola e la decorazione a motivi vegetali dei portali, come quello della facciata principale, risparmiato insieme al rosone dal rifacimento del 1716.

Dell’aspetto del fronte medievale, unica testimonianza è l’incisione di P. Renzi, tratta dall’Infantino (1634). L’attuale facciata settecentesca, divisa in tre ordini scompartiti da una trabeazione che si interrompe nella zona centrale, si conclude con un alto fastigio dove campeggiano, tra eleganti putti, lo stemma degli olivetani al centro e le statue di San Nicola e l’Arcangelo Gabriele ai lati.

L’intero prospetto è scandito in verticale da paraste scanalate con capitelli compositi e animato dalla presenza di numerose statue raffiguranti Santi dell’Ordine olivetano. L’interno è diviso da pilastri quadrilobati in tre navate, delle quali la mediana coperta da volte a botte, con archi trasversali, le laterali da volte a crociera, secondo una tipologia architettonica tipicamente nordica; il transetto, poco sporgente ai lati, e la cupola, posta all’incrocio dei bracci, ricordano, invece, l’organizzazione accentrata degli spazi, tipica dell’architettura bizantina. Sulla parete sinistra della navata, in corrispondenza della seconda campata, sono presenti alcuni elementi decorativi di un ciclo di affreschi tardogotici con San Benedetto e le storie della sua vita, realizzato, probabilmente, nel terzo decennio del XV secolo.

I rifacimenti barocchi comportano l’abbattimento dell’abside centrale (poi ricostruita durante i lavori di restauro del XX secolo), la costruzione di un nuovo coro e degli altari laterali (rifatti nel 1626 e poi da M. Manieri nel XVIII secolo), la realizzazione degli affreschi (inizio del XVII secolo) con “Storie di San Nicola “, grottesche e finti lacunari, figure di santi benedettini e protettori. Interessanti sono, inoltre, la statua di San Nicola, posta nella navata sinistra e attribuita a G. Riccardi (metà del XVI secolo) e le due tele settecentesche di G.B. Lama con San Benedetto, Bernardo Tolomei e Francesca Romana e la Vergine col Bambino tra i Santi Niccolò e Cataldo.

La fabbrica del monastero, addossata al fianco destro della chiesa, si sviluppa intorno a due chiostri: nel primo, che è più grande e antico del secondo, e attribuito a Riccardi per la presenza delle colonne binate, spicca il pozzo centrale, sormontato da un elegante baldacchino. Questo è sostenuto da quattro colonne tortili finemente scolpite, poggianti su piedistalli decorati con figure allegoriche che rinviano alla simbologia dell’acqua. Attualmente il monastero ospita L’Università degli Studi di Lecce.

convento dei domenicaniIl Convento fu fondato nella seconda metà del XIV secolo da Giovanni d’Aymo. La storia narra che il d’Aymo, venuto a conoscenza da un pellegrino fiammingo di un immenso tesoro nascosto presso una piccola cappella fuori Lecce, se ne impadronì, uccidendo il pellegrino.

In espiazione di questo efferato omicidio, con l’assenso del Vescovo, egli eresse questo convento (1389), insieme all’annessa chiesa (1388) e all’Ospedale dello Spirito Santo, situato di fronte, affidandolo ai Padri Domenicani. Questi si distinsero, oltre che per la predicazione anche per gli studi filosofici e teologici, tanto che nel 1652 il convento divenne sede dello “Studium Generale”, cui diede grande prestigio il teologo lecceseDionisio Leone, autore di molti volumi di logica e fisica.

L’edificio trecentesco ha subito numerose modifiche: una totale ricostruzione avvenne ad opera di Giuseppe Zimbalo, negli ultimi anni del XVIII secolo, ma rimase interrotta a causa della morte delll’architetto.

Alla metà del XVIII secolo risale il completamento della costruzione su progetto dell’architetto Emanuele Manieri. A lui si deve la realizzazione delle stanze superiori del chiostro, impostato su pilastri con un elegante gioco di specchiature tra le finestre del primo piano e, soprattutto, del prospetto sparito in cinque portali d’ingresso sormontati da cornici mistilinee e volute laterali.

Tra il 1812 e il 1814, in seguito alla soppressione degli Ordini religiosi, i Domenicani dovettero lasciare il convento. Nei decenni successivi l’edificio venne adibito a fabbrica e a manifattura di tabacchi: qui si produceva il cosiddetto “leccese”, un particolare tabacco da fiuto esportato in tutto il mondo. Dal 1975, l’edificio ospita l’Accademia di Belle Arti.

duomo dell assuntaIl Duomo di Lecce è dedicato all’Assunta. Costruito in epoca normanna (1114) per iniziativa del Vescovo Formoso, fu ristrutturato al tempo degli Svevi (1230) da parte del Vescovo Volturio e definitivamente modificato dal Vescovo Luigi Pappacoda, in epoca barocca, tra il 1659 e il 1670, per opera di Giuseppe Zimbalo.

L’attuale edificio, che mantiene in gran parte l’impianto antico, si sviluppa in due ordini e possiede due facciate differenti: la principale, orientata a nord-ovest e quella secondaria volta a Oriente.

Quest’ultima è stata realizzata per esaltare il protettore della Città, Sant’Oronzo, e per arricchire lo spazio scenografico della piazza in una quinta scultorea che offre un saggio straordinario delle capacità plastiche degli scalpellini leccesi.
I Santi scolpiti nelle due facciate sono: gli Apostoli Pietro e Paolo, Gennaro e Ludovico da Tolosa con l’Assunta e il Cristo, posti in asse con l’ingresso nel prospetto principale; Oronzo, Giusto, Fortunato e due Virtù nel prospetto secondario.
Lo stemma araldico del Vescovo Pappacoda domina il fastigio del portale laterale, quasi a suggellare la preminenza della sua volontà di committente. L’interno della Cattedrale, a croce latina con ampio transetto, si sviluppa in forma basilicale a tre navate, delle quali la centrale e il transetto sono arricchiti da un elegante cassettonato ligneo impreziosito dalle tele della Predicazione, del Martirio e del Patrocinio di Sant’Oronzo, dell’ultima cena e dell’Assunta, opere di Giuseppe da Brindisi e Carlo Rosa. A partire dalla navata sinistra, vi sono gli altari dedicati a San Giovanni Battista (1670), alla Natività (di Gabriele Riccardi, 1545), a San Fortunato (1674), a Sant’Antonio (1674 di G. Zimbalo), all’Immacolata (con la statua di N. Fumo, eseguita nel 1689), a San Filippo Neri e l’Altare Maggiore; nella navata destra vi sono l’Altare dell’Addolorata, quello di San Giusto (1656 del Coppola), di San Carlo (1692 di Antonio Della Fiore), di Sant’Andrea Apostolo, di Sant’Oronzo (di G.A. Larducci) e del Crocifisso. Lo spazio interno è suddiviso da pilastri a semicolonne.

Le navate laterali sono coperte con volte a spigolo alla leccese decorate a stucco mentre la navata centrale e il transetto sono coperti da capriate con plafone ligneo. In corrispondenza della crociera vi è la cripta, cui si accede in prossimità del pulpito, la quale risale alla fase dell’antica Cattedrale medievale. Questo invaso, sorretto da 92 colonne con eleganti capitelli è stato completamente ristrutturato nel Cinquecento.

episcopioL’originaria costruzione dell’Episcopio risale al XV sec., al tempo del Vescovo Guidano. Fu poi ricostruita tra il 1591 e il 1639 per volontà del Vescovo Scipione Spina, con un impianto a elle contrapposto ad angolo rispetto alla facciata principale del Duomo. Il palazzo, secondo quanto ci riporta Giulio Cesare Infantino, era caratterizzato da una doppia rampa di scale convergenti che conferiva monumentalità all’intero complesso.

Fu ricostruito e abbellito nel prospetto, e ingrandito negli ambienti da Emanuele Manieri nel 1758, che sul corpo centrale del portico innestò il contrappunto di una piccola loggia con tre nicchie e statue e con un orologio, opera del maestro Domenico Panico.

L’edificio che si sviluppa ad angolo retto tra il Seminario e la Cattedrale, è caratterizzato da un elegante prospetto, costituito da un portico arcato che si eleva su un basamento bugnato. Al posto della rampa precedente esterna, l’architetto Emanuele Manieri nè realizzò una interna, divaricandola in una doppia rampa divergente che porta al corpo centrale. Questa rampa è completamente inglobata tra il basamento bugnato e le arcate della loggia che modulano la costruzione. Il piano nobile è ritmato da eleganti finestre con frontone.

Il piano attico, leggermente arretrato, conclude con le cornici delle finestre l’armonica facciata, con un contrappunto ritmico che ricorda le coeve composizioni musicali.

All’interno del palazzo, nel quale nel 1797 alloggiarono i sovrani di Napoli, vi sono gli appartamenti di rappresentanza, con una vasta galleria, l’abitazione del Vescovo e gli uffici della Curia. Vi sono conservate, con la policroma statua dell’Assunta, opera di Nicola Fumo, altri dipinti tra i quali una Vergine con Bambino, attribuito al Catalano, la Crocefissione di San Pietro di Luca Giordano, una tavola veneziana della Vergine col Bambino e una Sacra Famiglia, provenienti dalla Chiesa del Carmine.

L’Episcopio, con la sua struttura, è elemento di raccordo tra il Duomo e il Seminario e assume la funzione di sfondo scenografico all’intera piazza.

ex conservatorio di sant annaIl palazzo dell’ex Conservatorio di Sant’Anna é uno dei mirabili episodi architettonici eretti dalla volontà di privati che caratterizzarono la città di Lecce. Sin dalla sua fondazione, l’istituzione del Conservatorio si stabilì nell’antica residenza della famiglia Verardi, designata quale sua sede dallo stesso Berardino Verardi, nel testamento del 1679. Interesse principale del Conservatorio, che vi si stabilì, fu quello di accogliere nobili donne leccesi (“…vergini, vedove e malmaritate”) che amassero ritirarsi a vita privata, nell’esercizio delle pratiche religiose e ogni altra forma di vita contemplativa e operativa, preservando in questo la laicità della loro condizione.

L’antico palazzo Verardi, detto “all’Incrocata”, sorge su un’area antichissima, dove si presume che esistano cisterne e vecchi depositi per granai nel sottosuolo. Esso si affacciava su di una piazzetta, rientrante rispetto al fronte strada, e si sviluppava su due livelli con accesso diretto dal piano terra. Ma sin dal 1681, anno in cui fu iniziata la costruzione dell’attigua chiesa, l’edificio assunse un ruolo di secondo piano nella scena urbana, risultandone parzialmente occultato. Fu grazie alla volontà del Vescovo mecenate Alfonso Sozy Carafa che, nel 1764, il palazzo del Conservatorio riacquistò un ruolo di primo piano nella scena cittadina, con l’ampliamento realizzato dall’architetto Emanuele Manieri. Si trattò soprattutto di interventi volti all’accorpamento di nuovi vani acquistati dagli edifici vicini, che furono messi in comunicazione col corpo principale del palazzo. Ma, senza dubbio, l’operazione più rilevante di questo intervento fu la realizzazione del nuovo prospetto del Conservatorio, che uniformò il fronte sulla piazzetta, armonizzandolo con la facciata della Chiesa e conferendogli nuova dignità.

L’architetto ideò una successione di spazi in crescendo, realizzata mediante la costruzione di una scalinata scenografica che, partendo dalla piazzetta, raggiunge il primo livello della facciata fino al suggestivo portale di ingresso. Attraverso un elegante gioco di modanature, il nuovo portale diventa il manifesto dell’evento stesso, concentrando simbolismi che rimandano alle vicende del luogo: gli stemmi delle famiglie fondatrici (Verardi e Paladini) sulle paraste del portale, le testine d’angelo simboleggianti la sacralità del luogo, l’epigrafe commemorativa inneggiante al mecenatismo del Vescovo, finanche alla firma dell’architetto, rappresentata dalle tipiche campanule rivolte verso il basso, con cui Manieri era solito firmare le sue opere. Infine, la composizione sulla piazzetta si conclude con il raffinato mignano, sulla destra.

Oltre il portale, una nuova rampa di scale conduce verso il nuovo ingresso principale del complesso edilizio, al primo piano.

ex convento dei gesuitiStrategicamente inserito nel tessuto urbano della Lecce di fine Cinquecento, il collegio dei Gesuiti costituì fino al 1767 il centro propulsore di un’instancabile azione catechetica e missionaria condotta, in linea con i programmi dell’Ordine, all’insegna degli ideali della Chiesa post-tridentina.

La costruzione dell’edificio fu avviata nel 1579, nonostante i padri della Compagnia di Gesù fossero giunti in città guidati dalla figura carismatica di Bernardino Realino da Carpi, già dal 1574.

In quell’anno l’università aveva stanziato una somma di 3000 ducati per l’erezione della dimora destinata a ospitarli, e dell’attigua chiesa.

Eretta quest’ultima, fu possibile edificare il palazzo grazie alla successiva donazione di 12000 ducati da parte del nobile Raffaele Staibano.

Il progetto originario spettò al gesuita Giovanni de Rosis, lo stesso architetto che aveva progettato la chiesa e, nella fase conclusiva, subentrò a questi il nuovo capoprogettoGiuseppe Valeriano, cui spetta il disegno della facciata.
Concluso il corpo di fabbrica nell’ultimo decenni del ‘500, si provvide ad ampliarlo nel 1693 con la realizzazione di nuovi corridoi e ambienti verso occidente. Secondo il progetto originario, l’edificio era articolato su due piani, organizzati intorno ad un chiostro centrale a pianta quadra, ritmato da arcate a tutto sesto su pilastri quadrangolari. Al piano terra erano gli ambienti destinati alle aule scolastiche e agli oratori delle congregazioni mentre al piano superiore era sistemata la casa professa con i vani per la vita comunitaria, la biblioteca, il refettorio, i servizi e le stanze dei religiosi. Il severo prospetto era caratterizzato dall’andamento cadenzato del doppio ordine di quattordici paraste che, interrotte dalla trabeazione marcapiano, definivano scomparti entro cui si aprivano coppie di finestre, sormontate da timpani circolari al piano inferiore e da timpani triangolari al piano superiore. Una teoria di aperture quadrate completava la zona alta del prospetto, coronato da una cornice modanata aggettante.

A seguito della soppressione dell’Ordine nel 1767, l’edificio subì alterne vicende. Per un decennio fu adibito a collegio reale, successivamente passò ai monaci Benedettini di Montescaglioso, che si sistemarono al piano superiore lasciando al piano inferiore il collegio che alla fine del XVIII secolo ospitò le cattedre universitarie di medicina e di diritto. Soppressi i Benedettini e trasferito il collegio, Giuseppe Bonaparte nel 1807 vi dislocò gli uffici giudiziari. Dal 1931 al 1977 divenne sede anche della Corte di Appello e della Procura Generale.

Nella sua conformazione attuale, esso è il risultato di vari interventi che ne hanno alterato l’aspetto iniziale. In particolare, tra il 1866 e il 1868, l’edificio ricevette il nuovo prospetto neoclassico, caratterizzato nell’ordine inferiore da un paramento a bugne lisce. Tra i rifacimenti è da segnalare, inoltre, il rinnovamento del chiostro trasformato nel verdeggiante cortile del Circolo Cittadino e impreziosito con una fontana su progetto di Marcello Piacentini.

ex convento dei padri teatiniI Padri Teatini giunsero nella città di Lecce nel 1586, con il consenso del Vescovo Annibale Saraceno e il sostegno economico della città che provvide ad offrire un alloggio confortevole presso la casa della nobile Elena Staiano.

Fu offerta loro, per gli uffici sacri, inizialmente la Chiesa dell’Assunzione della Vergine e poi la piccola chiesetta dedicata a Sant’Irene. Con il sostegno politico dell’Università e quello economico di molti cittadini, acquistarono diversi immobili per poter costruire su un’area più vasta la nuova chiesa e il convento.

L’edificio sacro, dedicato alla protettrice di Lecce, e il convento furono edificati nell’isola denominata ” la frasca” tra l’ultimo decennio del XVI sec. e la prima metà del XVII. La collocazione prescelta è indicativa della volontà di insediarsi nel cuore della città, in un sito preminente, posto su una delle arterie viarie più importanti, per poter al meglio dedicarsi alla predicazione e all’assistenza dei moribondi.

I Teatini, assieme ai Gesuiti, sono i più rigorosi interpreti della Controriforma e anche a Lecce operarono per il rinnovamento della liturgia, della predicazione e officiatura dei sacramenti. Il complesso conventuale poteva accogliere quaranta padri che nel primo trentennio del Seicento di certo abitarono la struttura, mentre nel 1762 fu istituito un educandato per i giovani che volevano entrare nell’Ordine. Con la soppressione degli Ordini religiosi la Chiesa e il Convento furono ceduti al Comune di Lecce, che si preoccupò di conservare l’apertura al culto della Chiesa affidandola a due padri teatini leccesi. I diversi rimaneggiamenti e le svariate utilizzazioni come caserma, scuola e uffici del Municipio hanno modificato l’originaria conformazione del complesso conventuale.

Attiguo alla Chiesa, l’edificio si sviluppa su tre livelli: un piano terreno, uno parziale ammezzato e un primo piano. Gli ambienti, distinti in quattro corpi di fabbrica, si sviluppano intorno a un chiostro quadrangolare e sono collegati tra di loro dal portico voltato a crociere al piano inferiore e da un passaggio corridoio a quello superiore. Il chiostro è movimentato da un ritmico succedersi di arcate a tutto sesto, impostate su ampi pilastri al pian terreno e da una teoria di finestre architravate con timpano triangolare inserite in specchiature geometriche al primo piano; il cornicione finale, con motivi a dentelli, chiude in maniera armonica la superficie.

Gli ambienti sono genericamente coperti con volte a stella e a crociera, realizzati in pietra leccese e carparo. Il prospetto, su Corso Vittorio Emanuele, compromesso nella sua originaria veste, mostra tuttavia una ricercata simmetria con due corpi laterali affiancati ad uno centrale, alleggerito dal loggiato posto all’ultimo piano; più sobrio ma non meno problematico il prospetto su via Regina Isabella.

il seminarioIl seminario di Piazza Duomo, iniziato nel 1694 per volere del Vescovo Antonio Pignatelli, su progetto dell’architetto Giuseppe Cino e terminato nel 1729, rappresenta una delle emergenze architettoniche più rilevanti del barocco leccese. Insieme al Campanile, al corpo della Cattedrale, al Palazzo Vescovile e ai Propilei, definisce uno degli spazi più suggestivi e scenografici della Città di Lecce.

L’edificio, adiacente a quello dell’Episcopio, occupa il lato nord-ovest della piazza. Rifacendosi al prospetto del Convento dei Celestini, Giuseppe Cino progetta un corpo di fabbrica unitario e compatto dall’impianto monumentale, costituito dalla parte inferiore più aggettante, con un’articolata elaborazione decorativa; quella superiore, invece, conclusa da un cornicione con peducci di coronamento, molto più semplice e lineare, fu progettata dall’architetto Manieri.

La facciata è scandita da lesene con conci bugnati e pregevoli capitelli terminali che individuano otto campate simmetricamente distribuite a destra e a sinistra del portale d’accesso, ognuna con due ordini di finestre modanate e arricchite da elementi decorativi scolpiti e ben equilibrati, inseriti in un paramento murario a bugne che conferiscono un forte effetto plastico all’insieme. Una balaustra continua, formata da colonnine intervallate da pilastrini con elementi decorativi, sovrasta e conclude la facciata del Cino.

Di pregevole valore risultano le decorazioni del portale d’accesso (un tempo affiancato da due sculture rimosse in occasione di vecchi restauri) con paraste laterali e stemma episcopale posto sull’archivolto accanto a mensoloni figurati che reggono una pregevole balconata, nella cui zona retrostante si apre una trifora con archi a tutto sesto sorretti da colonne con capitelli di ottima fattura. Il prospetto laterale destro, di appendice alla facciata del Seminario, si presenta essenziale nel disegno con finestre e porte coronate da cornici lisce.

Attraverso un portone riccamente decorato, si accede all’androne dalle volte lunettate e costolonate, espressione di una severa e composita architettura; sulle pareti laterali si notano otto busti in pietra leccese, raffiguranti i dottori della chiesa: a destra, San Atanasio, San Tommaso d’Aquino, San Gerolamo e Sant’Ambrogio; a sinistra, San Giovanni Crisostomo, San Bonaventura, Sant’Agostino e San Gregorio. Nell’atrio, al centro, troneggia un magnifico pozzo, opera del Cino, finemente ornato da puttini reggi festoni.

La graziosa cappella (1696) conserva pregevoli tele, come quella di San Gregorio taumaturgo, firmata e datata 1696 da Paolo De Matteis e posta sull’Altare Maggiore, realizzato dal Cino, e quella di San Vincenzo diacono e Santa Domenica, quest’ultima posta sull’altare eretto nel 1704 dal vicario diocesano Scipione Martirano. Un’ampia scala conduce al primo piano, un tempo destinato ai seminaristi e ora Museo Diocesano. La Biblioteca Innocenziana, dal nome assunto da papa Antonio Pignatelli da Spinazzola, Vescovo di Lecce, ricca di oltre diecimila volumi, con incunaboli e molte cinquecentine italiane e straniere, è alloggiata nei locali del piano inferiore.

monastero di santa chiaraSecondo la tradizione il Monastero di Santa Chiara fu fondato intorno al 1410 dal frate Tommaso Ammirato, religioso dell’Ordine dei Padri Conventuali di San Francesco, Vescovo della Città di Lecce dal 1429 al 1438, ma secondo un’altra ipotesi la fondazione si deve al facoltoso Antonio di Giovanni de Ferraris, che destinò per il monastero delle Clarisse alcuni immobili e tutti i suoi beni mobili.

Il legame tra il monastero e la famiglia di origine fiorentina degli Ammirato è testimoniato ancora nel XVI secolo da lasciti testamentari e dalla presenza di monache appartenenti alla stessa famiglia. Intorno alla metà del XVII secolo è documentato il precario stato in cui si trovava il Monastero e sono attestate disposizioni vescovili perché si provvedesse al restauro e al rifacimento degli edifici.

Assieme ai lavori della chiesa furono realizzati anche quelli del convento e nel 1691 si attesta che le Clarisse presero nuovamente possesso dei locali. Da una visita pastorale del 1747 si evince che le celle delle monache erano venti e che esistevano tre dormitori, un refettorio e una dispensa. Intorno agli anni ’30 del XIX sec. l’edificio, in precarie condizioni, necessitava di massicci interventi di ristrutturazione e durante i lavori la monache furono trasferite in poche stanze attigue al monastero. Nel 1837 fu demolito il vecchio edificio e i lavori si protrassero fino al 1841.

Con il decreto di soppressione degli Ordini religiosi, del 17 febbraio 1861, il monastero fu privato dei beni, la cui amministrazione passò in parte al demanio e in parte a privati cittadini. Le ultime clarisse rimasero nel monastero fino al 1866, quando la comunità fu definitivamente soppressa e trovarono accoglienza presso il Monastero delle Benedettine di San Giovanni Evangelista.

Gli ambienti del complesso furono in seguito adibiti a uffici dell’Intendenza delle Finanze. L’ex monastero si presenta, dopo i numerosi interventi ottocenteschi ad opera dell’architetto gesuita Giambattista Jazzeolla e dopo le trasformazioni avvenute in seguito alla soppressione, assai compromesso nella sua veste più antica. I pochi elementi superstiti si riducono a qualche arco a pian terreno sovrastato dalle centine di una loggia, anch’essa obliterata. Gli ambienti del monastero, disposti su due piani, sono distribuiti intorno a un cortile quadrangolare percorso da un ballatoio. Soluzione adottata anche nel corpo di fabbrica che pone le fondamenta sul Teatro Romano.

Il prospetto su via Arte della Cartapesta è quello che presenta le stratificazioni più complesse e conserva all’esterno tracce di paramenti murari più antichi e le caditoie ormai murate. Il prospetto ottocentesco su via degli Ammirati è scandito orizzontalmente da una cornice marcapiano poco aggettante che separa i due piani.

A piano terra si apre un portale archivoltato con bugne alternate, gioco riproposto per scandire verticalmente alcuni corpi di fabbrica. Ai lati del portale si aprono semplici finestre rettangolari con una sobria cornice geometrica, mentre al piano superiore le finestre architravate presentano un profilo curvilineo interno.

piazza duomo e il campanilePiazza Duomo è stata definita da Cesare Brandi un grande cortile, cui dà l’accesso un grande portone scoperto come una terrazza. Nella piazza assistiamo al trionfo del barocco leccese, i rapporti misteriosi e precisissimi che intercorrono tra l’altezza del Campanile e la larghezza del sagrato, il cannocchiale dell’ingresso e lo scenario della loggetta di fondo determinano un preciso addentellato di volumi, tale da non riuscire a cogliere la ragione del meraviglioso equilibrio che sulla piazza si sviluppa. Il cortile del Vescovado era ed è il centro e lo sbocco della vita ecclesiastica di Lecce anche se era al contempo piazza mercato, in contrapposizione al centro laico della Città, rappresentato da piazza Sant’Oronzo.

Questo cortile, sebbene più volte modificato, risale al tempo del Vescovo Girolamo Guidano, (1420-25). Adesso si accede dopo aver attraversato i Propilei, realizzati da Emanuele Manieri dopo la demolizione degli originali muri d’ingresso. I pilastri, sormontati da statue e balaustre, si dispongono a imbuto e raccordano le vie G. Libertini, G. Palmieri (che conduce ove un tempo sorgeva la porta San Giusto di Napoli, nel passato arteria principale della città) e corso Vittorio Emanuele II, che porta in piazza Sant’Oronzo. In un’acquaforte eseguita nel 1634 dal prete leccese Pompeo Renzo è raffigurata la fiera detta “Panieri” o “Spasa del Monsignore”, che si svolgeva in Piazza Duomo, nella quale si vendevano giocattoli e frutta autunnali. Al centro del cortile c’era, fino al 1957, una fontana con la coppia dei cavalli alati, modellata da Antonio Bortone ed eseguita nel 1925.

In questo spazio, aperto e chiuso al contempo, si incontrano tutti i maestri locali del Barocco e del Rococò, i quali, per un intero secolo tra Seicento e Settecento, in questo mirabile spazio collocano più edifici, adottando una misura e un garbo che fondono nella coralità di civilissime architetture gusti personali tra loro indipendenti. Nell’intero cortile i Propilei, il Campanile, la Cattedrale, L’Episcopio e il Seminario sembrano voler intessere un dialogo nobile e gentile disponendosi in un amabile girotondo, realizzando in questo modo una delle più belle e scenografiche piazze d’Italia.
Il Campanile, alto 70,72 metri dal livello del suolo, fu costruito da Giuseppe Zimbalo tra il 1661 e il 1682, su commissione del Vescovo Luigi Pappacoda, sull’area di una precedente torre abbattuta nel 1574. Il campanile, oltre a essere il simbolo dell’egemonia del Vescovo sulla Città e sul territorio, ha avuto anche una funzione difensiva dominando, con la sua mole, il mare Adriatico e lo Ionio.

La struttura, a cinque piani rastremati, è completata da una cupola ottagonale, con un ballatoio adornato da quattro pinnacoli a forma di vasi fioriti sulla quale è posta, a mò di bandiera, la silhouette metallica di Sant’Oronzo, Patrono della Città dopo la pestilenza del 1656.

Ogni piano del Campanile è definito da una balaustra e al centro di ogni lato vi è una monofora incorniciata da lisce paraste sulla cui sommità campeggiano epigrafi latine dettate nel XVII secolo da G. Camillo Palma, arcidiacono della Cattedrale.

Agli spigoli di tali targhe ricorre ripetutamente, come caratteristico motivo di gusto fanzaghesco, la punta lanceolata. Il Campanile, con la sua mole, è il punto di riferimento dell’intera città e del territorio circostante, sia dal punto di vista ecclesiastico che laico, assumendo la funzione di punto centrale dell’intero centro storico.

spedale dello spirito santoQuesto edificio, sede di una delle più antiche opere pie della Città, fu eretto e fondato da Giovanni D’Aymo nel 1392 all’Incrocata (importante crocevia della città antica) e affidato alla gestione dei Padri Domenicani, per l’accoglienza dei pellegrini e degli infermi. Successivamente crollato, fu ricostruito nel 1548 dal mirabile architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya, già autore del Castello di Carlo V, delle Mura cittadine e della città fortificata di Acaya, oltre che di importanti fabbriche militari in tutto il Regno di Napoli.

In questo edificio si rileva il particolare talento dell’architetto militare che si manifesta nella struttura sobria ma solida, poggiante su di un pronunciato zoccolo bugnato e scandito dal susseguirsi ritmato delle paraste binate di ascendenza albertiana, modanate e percorse da una scanalatura che le esalta e dà loro più slancio.

Il motivo a bugnato caratterizza anche le aperture regolari del primo ordine, fino al primo portale: oltre questo, la mutata scansione delle aperture suggerisce la presenza dell’annessa cappella dello Spirito Santo, priva di facciata sul fronte strada, ma ugualmente riconoscibile anche dalle aperture su via Galateo.

All’interno, lo Spedale è caratterizzato da due grandi vani voltati a botte e intersecati da lunette: essi rappresentavano le due principali infermerie e corrispondono allo sviluppo delle prime tre scansioni leggibili dall’esterno. Le infermerie sono in asse con la piccola cappella, così che gli ammalati, dal proprio giaciglio, potessero seguire la Messa attraverso la porta che comunica in direzione della cappella.

Nel cortile si aprivano altre botteghe e spezierie sempre a servizio della cura dei malati. Attualmente, un ala dell’edificio ospita un cinematografo che occupa le due infermerie principali; le altre ali del palazzo e i piani superiori accolgono gli uffici della Direzione Compartimentale dei Tabacchi.